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Recensione Jersey Boys musical al Teatro Nuovo: 3 ore di puro piacere  [VISTO IL: 24 FEBBRAIO 2018 | TEATRO: NUOVO (MI)]

Sabato 24 febbraio, presso il Teatro Nuovo di Milano, ho assistito con grande coinvolgimento ad una delle repliche di un musical che si guadagna ormai da anni il favore sia del pubblico che della critica: Jersey Boys.

Recensione Jersey Boys al Teatro Nuovo_2

Si tratta di un capolavoro, campione di incassi a Londra, che racconta la vera storia di una band di grande successo nella storia della musica pop anni ’60.  E si racconta di questa band sin dalla sua formazione, quando sotto un lampione in una notte nelle strade del New Jersey, quattro giovani artisti decidono di unirsi in un quartetto attribuendosi un nome suggerito dall’insegna sgangherata di un locale. Diventano così una band che diventerà una leggenda: i Four Seasons.

Dagli Stati Uniti all’Italia 

Il musical, con musiche di Bob Gaudio, testi di Bob Crewe e libretto di Marshall Brickman e Rick Elice, ha debuttato a Broadway nel 2005.

Si tratta per la precisione di un jukebox musical, che raccoglie al suo interno i reali successi dei Four Seasons. Dopo diversi tour e molti premi, Jersey Boys approda in Italia nel 2016 grazie alla sapiente e attenta regia di Claudio Insegno, per merito del quale il musical si è imposto all’attenzione di tutti lasciando dietro di sé grande risonanza. Quasi nulla è lasciato al caso. Il ritmo dentro ogni battuta e la scelta accurata del cast hanno contribuito alla realizzazione di uno spettacolo incredibile. È raro assistere ad uno spettacolo di tre ore senza mai annoiarsi o distrarsi. Il cast di Jersey Boys inchioda gli spettatori alla poltrona, suscitando un trasporto del pubblico talvolta addirittura spiazzante. I protagonisti sono stati incredibilmente presenti, ritmicamente infallibili, vivi nella loro interpretazione che non li ha fatti vacillare mai, in nessuna situazione. La loro preparazione è ammirevole. Dal canto alla recitazione al movimento coreografico, ciò che hanno regalato al pubblico è stato uno spettacolo comico e drammatico al tempo stesso, difficile da dimenticare.

Recensione Jersey Boys al Teatro Nuovo

A teatro o ad un concerto?

Ciò che avviene in scena è talmente reale da lanciare il pubblico del 2018 in un’altra dimensione. Improvvisamente non si era più seduti a teatro a guardare il racconto di una storia, ma ci si sentiva, come per magia, negli anni ’60 ad assistere ai veri concerti dei Four Seasons. Il pubblico ha partecipato, infatti, con calore ed entusiasmo a ciascuna delle loro performance, come se si trovasse realmente nei locali dove la band si esibiva. Certamente ciò non si sarebbe potuto ottenere se i protagonisti non fossero stati così preparati, ognuno diverso dall’altro ma perfettamente amalgamato con il resto del gruppo. Non saprei dire chi sia stato migliore fra i quattro componenti della band, essendo stati tutti, nel loro ruolo, così magistralmente pronti. E la loro preparazione vocale li rende perfetti, quasi come se li si ascoltasse su dei dischi registrati.

I protagonisti

Alex Mastromarino, che ha interpretato Frankie Castelluccio, in arte Frankie Valli, spiazza per la sua bravura. La sua potenza vocale, con abili passaggi dal registro di petto al registro di testa, esce da quella bocca con una leggerezza tale da sembrare facilissima. Ovviamente, tutto è meno che semplice. E questa leggerezza dà luogo, al tempo stesso, a forza e precisione. Aldilà delle innegabili capacità canore, ogni movimento dell’attore è studiato nel dettaglio. Non c’è uno snap che venga fatto con debolezza. L’energia è sempre altissima e si vede.

Tommy DeVito, colui che ha formato il gruppo e ha, al tempo stesso, contribuito al suo scioglimento per il suo comportamento spesso inadeguato, è interpretato magnificamente da Marco Stabile. Il suo timbro vocale è di una bellezza incredibile e la sua intonazione superiore a quella di tutti gli altri. Siamo ad altissimi livelli per ciascuno di loro, ma lui si distingue per una pulizia di suono rarissima.

Ad interpretare Nick Massi è Claudio Zanelli, che ha colorato con il suo timbro basso i cori, dandogli corpo e spessore. Grande presenza scenica, Zanelli è ancorato al palcoscenico, come se ogni accento dovesse partire dal basso, dai piedi fino alle braccia, poiché senza fondamenta non può esistere nulla di concreto. E in questa concretezza ha saputo farsi notare.

Ultimo componente del gruppo è Bob Gaudio, reclutato come scrittore di testi oltre che come cantante e tastierista. Ad interpretarlo è Flavio Gismondi, la cui dolcezza disorienta. Ha sempre il sorriso stampato in volto, un sorriso che non si perde nemmeno quando un paio di volte la tastiera si sposta dalla base su cui è appoggiata rischiando di cadere. Lui la sistema e continua a muoversi in scena e a cantare come se nulla fosse. Anche lui ha un timbro vocale bellissimo, come avevamo già avuto modo di apprezzare in Newsies, dove interpretava il ruolo di Jack Kelly.

La direzione vocale di Angelo Racz è stata impeccabile. Cori e voci soliste si mescolano insieme con una fluidità e un’eleganza ineccepibili.

foto Michela Piccinini

Altri membri del cast

C’è grande comicità insita in gran parte delle scene, confermata dalle continue risate degli spettatori. Oltre ai quattro protagonisti, regala grandi momenti di spasso Giulio Pangi, che interpreta il ruolo di Joe Pesci, il vero Joe Pesci da ragazzo, prima che diventasse un attore noto. È energico, buffo e vitale. Impossibile non notarlo ogni volta che fa il suo ingresso in scena.

Anche Brian Boccuni, nel ruolo di Bob Crewe,  si fa ricordare per il suo brio.  La grande vivacità che conferisce al personaggio che interpreta è quasi contagiosa. Quando Bob Crewe parla, immediatamente tutti sono di buonumore. Avevamo già avuto il piacere di apprezzare Boccuni nel ruolo di Dr.Madden/Dr.Fine in Next to Normal, in una performance completamente diversa da questa, il che mostra la sua versatilità.

Non male la Mary Delgado di Valeria Belleudi, che ha saputo dare al suo personaggio grande forza e al tempo stesso grande debolezza, rendendo affascinante un personaggio che, sebbene secondario, rimane impresso.

Non si può dire lo stesso di Cira Marangi, che ha interpretato il ruolo di Lorraine. L’attrice risulta un pò indietro a livello di preparazione rispetto al resto del cast. La sua recitazione non è naturale e “stona” un po’ all’interno del gruppo.

Andrea Carli invece ci offre un Gyp Decarlo molto gradevole nella sua comicità, ma forse un po’ troppo simpatico rispetto al ruolo di mafioso che riveste e che dovrebbe destare invece un po’ di timore e/o di autorità.

Jersey Boys al Teatro Nuovo torna a Milano

foto Michela Piccinini

Piccoli aggiustamenti

Lo spettacolo è al gradino più alto della scala dei musical in Italia. E proprio perché siamo ad alti livelli ci si può e ci si deve aspettare il meglio. Alcune cose dovrebbero essere, a ragion veduta, sistemate, perché guastano nel complesso la bellezza di tutto il resto. Mi riferisco a due aspetti in particolare che non possono passare inosservati.

Il primo è relativo alla movimentazione degli elementi della scenografia. Che sia o meno un problema di palco poco importa al pubblico, perché quando un nuovo pezzo di scenografia fa il suo ingresso, esso è accompagnato da un rumore intenso abbastanza fastidioso, nonché frequente, causato dal trascinamento degli oggetti su ruote forse con un po’ troppa foga.

Le scenografie di Roberto e Andrea Comotti sono curate e definite, ma il lavoro dello scenografo non dovrebbe fermarsi alla realizzazione delle stesse per poi voltarsi dall’altra parte. Esse hanno una vita come dei personaggi, sono fondamentali per gli interpreti e senza di esse le scene risulterebbero vuote. Ma non è ammissibile che ogni volta che un elemento entra ed esce dalla scena ci sia del frastuono. Se a scuola di teatro ti insegnano a non far rumore camminando sui tacchi, è sensibilmente più importante che un tavolo o una poltrona o una porta facciano il loro ingresso in modo aggraziato e non irruento. Sicuramente i Comotti, con la sapiente supervisione di Claudio Insegno, sapranno porvi rimedio.

Il secondo aspetto è dato dalla finzione nel suonare gli strumenti. Sarebbe meraviglioso se gli stessi interpreti fossero addirittura in grado di suonare il basso e la chitarra elettrica, ma non si chiede loro di essere abili anche in questo. Ci mancherebbe. La loro maestria generale ce li fa perdonare per questa mancanza.

Ma muovere le mani a caso (spesso non a tempo) sulle tastiere di chitarra e basso non equivale a far credere di suonare sul serio. Si può fingere di suonare imparando a simulare con un po’ di “verità” in più. Sicuramente è un lavoro impegnativo, ma proprio perché siamo ad alti livelli, anche questo aspetto non può passare in secondo piano. Gli strumenti in scena sono presenti molto spesso e, ogni volta che vengono utilizzati, deve esserci un’attenzione in più nel farlo.

Conclusioni

In definitiva, si va via da teatro col sorriso e felici di aver assistito ad uno spettacolo magnifico, cosa niente affatto scontata, specie in Italia.

I costumi di Graziella Pera soddisfano molto, rispetto a quanto spesso si vede in giro. Si vede che dietro la loro realizzazione c’è stato un occhio attento.

Lodevole anche il disegno luci di Alin Teodor Pop, in particolare nella scena dove il pubblico vede i Four Seasons esibirsi di spalle, di fronte al pubblico fittizio di uno dei locali che li ha visti come protagonisti in quegli anni. La prospettiva dello spettatore diventa per un momento quella dell’attore sul palco, con le luci in scena e il buio in platea. L’effetto visivo è veramente suggestivo.

Quanto alla danza: ce n’è poca e tecnicamente pare poco impegnativa, ma si rende bene l’atmosfera coi movimenti tipici degli anni ’60, grazie alle coreografie di Valeriano Longoni.

Jersey Boys sarà ancora in scena per alcune date fino a marzo a Montecatini Terme, a Lugano e a Novara. Per chi non lo avesse ancora visto, affrettatevi.

Recensione Jersey Boys a cura di Mariachiara Ribaudo –
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Laureata con lode in Scienze e Tecnologie dello Spettacolo, in seno all’università di Lettere e Filosofia di Palermo, consegue il titolo di Critico dello Spettacolo, grazie al quale si diletta offrendo la sua opinione critico/tecnica, ove richiesto. Ha compiuto studi di danza e pianoforte da bambina, trasferendosi dopo la Laurea a Roma, dove ha studiato presso la Maldoror Film, Scuola internazionale di Cinema; si è diplomata al Quartier Generale, Scuola di Musical della Compagnia delle Stelle di Roma, percorso dopo il quale si trasferisce a Milano, diplomandosi anche all’SDM, Scuola del Musical fondata da Saverio Marconi e diretta da Federico Bellone. Grazie allo studio di tutte le discipline che servono per rendere questo mestiere completo, diventa quindi Performer. Ha scritto un musical (libretto e liriche), collaborando attivamente anche alla composizione musicale. L’opera è regolarmente depositata in Siae. Ha frequentato anche due corsi di doppiaggio, presso lo studio Dream & Dream di Milano. Ha preso parte a diversi spettacoli di Prosa e Musical, è istruttrice di fitness qualificata e vive per l’arte che è da sempre la sua fonte di gioia e di ispirazione quotidiana. Showreel di Mariachiara Ribaudo.

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