Arriva finalmente a Milano La guerra dei Roses, romanzo del 1981 scritto da Warren Adler e divenuto poi un grande successo cinematografico alla fine degli anni ’90 con Michael Douglas e Kathleen Turner per la regia di Danny De Vito.
È la storia dei coniugi Rose, che dopo 18 anni di matrimonio entrano in una crisi profonda e cominciano a detestarsi. L’unica strada possibile è il divorzio, che è l’inizio di una separazione lenta, feroce, cinica e folle, che si trasforma in una vera e propria guerra coniugale combattuta dentro la loro casa dei sogni, che nessuno dei due vuole lasciare.
Jonathan è un ricco e ambizioso uomo d’affari che ama i vini e la sua Ferrari. Barbara è la moglie che fin dall’inizio lo ha accompagnato e supportato fino al picco della carriera, o almeno fino a quando capisce che è arrivato il momento in cui anche lei ha diritto a una propria vita professionale, e decide di avviare un’attività di catering, scelta non condivisa dal marito e prima motivazione di scontro.
Barbara ha bisogno di affermazione, di staccarsi da un marito dominante e di non dipendere completamente da lui dal punto di vista economico e affettivo. In un crescendo di ferocia e cattiveria, una serie di episodi sorprendenti portano alla distruzione del loro rapporto, entrambi supportati dai migliori (e costosissimi) avvocati della città.
Una commedia noir che mi ha piacevolmente sorpreso e catturato nelle sue due ore di messa in scena: non avendo visto il film ho potuto godere del tutto la storia e i suoi colpi di scena.
All’inizio lo spettatore conosce i coniugi Rose in platea, dove il cast scende a rappresentare la scena del primo incontro e dell’innamoramento. Per poi passare velocemente al gioco al massacro tra marito e moglie fatto di cattiveria, punte di macabro con l’uccisione e l’assaggio in formato patè degli animali domestici, distruzioni di automobili e così fino ad arrivare all’estremo.
Sentimenti forse soffocati da anni riaffiorano in un susseguirsi di vendette e violenze psicologiche, è una guerra di torture escogitate. Anche se può sembrare strano si ride dentro il dramma, perché le tragedie e le battute sul loro vissuto portano alla risata. Anche i due avvocati divorzisti conferiscono comicità, l’avvocato Thurmont (Emanuela Guaiana) e Goldstein, interpretato da Massimo Cagnina, incitano Jonathan e Barbara allo scontro continuo, comportandosi come due grilli parlanti del male sui lati del palco, e si sa, più è lento il divorzio più si alza la parcella…
Ambra Angiolini, dopo “I pugni in tasca” e “Tradimenti” della scorsa stagione, si conferma una bravissima attrice di teatro, rendendo la sua Barbara Rose una donna cinica ma anche molto fragile e sognatrice. Matteo Cremon è un ottimo attore, di quelli che portano la voce con tecnica fino all’ultima fila della platea senza urlare, oltre a essere un bellissimo ragazzo.
Una macchina teatrale ben congeniata, con la regia incalzante di Filippo Dini. La scenografia è curata, con i due mini studi degli avvocati sui lati, il salotto di casa Rose e una scala che porta alle camere da letto. Scale, porte e pareti sono inclinate verso il pubblico, come a riflettere la lenta discesa dei due protagonisti verso l’inferno. Da vedere e da consigliare.
Recensione a cura di Alessio Gaburri.
Fino al 26 novembre al teatro Manzoni di Milano (Montenapoleone M3). Dal martedì al sabato repliche alle 20:45, la domenica alle 15:30.