[Recensione a cura di Luana Savastano]
Chi meglio di un cast giovane e fresco per portare in scena un musical altrettanto giovane, non solo per età (il debutto in America è avvenuto nel 2009), ma anche per impostazione scenica e tematiche affrontate, allora come adesso, attuali? Ecco, quindi, azzeccata la scelta del regista Marco Iacomelli che, per il debutto assoluto in Italia di Green Day American Idiot, si è affidato a un gruppo giovane con importanti produzioni alle spalle. Lo spettacolo è in co-produzione tra STM – Scuola del Teatro Musicale, Fondazione Teatro Coccia e Reverse Agency, con il sostegno di Fondazione CRT.
Per quasi 20 giorni, il Teatro della Luna ha risuonato delle musiche del gruppo punk-rock americano dei Green Day (precedentemente era toccato al Teatro Coccia di Novara, che ha ospitato le due anteprime di gennaio). E lo ha fatto grazie alla grinta di tutto il cast, una grinta e un’energia che si è avverata dal punto di vista vocale e performativo.
American Idiot per il palco nasce dall’omonimo concept album pubblicato nel 2004 dai Green Day, album in cui il gruppo critica lo stile di vita americano, i media, che trasmettono ciò che vogliono far credere alla gente, e lo stesso “American Idiot”, che assorbe ciò che gli stessi media offrono, incurante e passivo. Ai brani già citati di American Idiot se ne aggiungono altri tratti da 21st Century Breakdown e l’inedito When it’s Time.
Quella sensazione di malessere e delusione verso la società, di cui si nutrono le canzoni dei Green Day, si avverte fin dalle prime battute, come si avverte anche lo stato di solitudine e di confusione da parte dei ragazzi, per un futuro quanto mai incerto. Così, davanti agli occhi del pubblico, si sviluppa un viaggio, fisico e interiore, in cui i protagonisti affrontano, a modo loro, situazioni che li mettono a dura prova ma che, alla fine, li portano a maturare. È una crescita tormentata e sofferta, come del resto è il passaggio dall’adolescenza alla maturità. Bravi, quindi, Ivan Iannacci, Luca Gaudiano e Renato Crudo (rispettivamente Johnny, Will e Tunny), che offrono una prova convincente, senza oltrepassare i limiti, permettendo al pubblico di concentrarsi sulle loro azioni, sulle loro espressioni, sulla loro fisicità in scena. D’altronde, proprio la componente recitata (in lingua italiana) è molto limitata nel corso di tutto lo spettacolo. Ma forse è questa l’intenzione degli autori (il libretto è di Billie Joe Armstrong e Michael Mayer): mettere al centro di tutto le canzoni per fare in modo che, in circa un’ora e mezza, i fan dei Green Day possano godere con gioia della potenza dei loro testi, ora anche visivamente.
Non sono da meno le prove interpretative delle tre protagoniste femminili: Angela Pascucci, brava e disperata Heather, fidanzata di Will, che deve affrontare la gravidanza senza poter contare sul suo aiuto; Giulia Dascoli, l’Extraordinary Girl che, sulle note dell’omonima canzone, offre una scena altrettanto “straordinaria” sospesa in aria assieme a Tunny, dopo che è stato ferito gravemente in guerra; e Natascia Fonzetti, che anche in quest’occasione dimostra come il rock sia nelle sue corde e affronta la parte con grinta e buona padronanza del palco. Compare in scena come una Giulietta moderna, affacciata alla finestra, e il suo personaggio diventa punto di riferimento per Johnny. Il suo nome, però, non lo sapremo mai (Whatsername). Molto bella la prova di Mario Ortiz, dalla vocalità interessante. È lui l’ alter ego immaginario di Jhonny, una figura oscura e tentatrice, che tormenta il ragazzo per condurlo alla perdizione fino, poi, ad arrivare alla “resa dei conti”.
Efficace l’intero apparato scenotecnico (Gabriele Moreschi). Video mapping e proiettori che trasformano la scena in diversi ambienti. Scelta, questa, che aiuta a rappresentare meglio la contemporaneità di luoghi e di tempi. Ad affiancare il tutto ciò ci sono le coreografie di Michael Cothren Peña, coreografo di Los Angeles e curatore di grandi eventi internazionali.
La standing ovation alla fine dello spettacolo, con la platea in piedi e plaudente, conferma il gradimento del pubblico e premia l’impegno. Sicuramente Green Day American Idiot, che nel 2010 ha vinto due Tony Awards e un Grammy Award, va visto conoscendo la filosofia dei Green Day. Ma lo spettacolo è anche un segnale che qualcosa nel mondo del musical sta cambiando e si sta evolvendo. Al fianco di titoli tradizionali e di storie a volte un po’ edulcorate, sta prendendo sempre più piede un filone moderno e contemporaneo, che ha un messaggio forte da far vedere (e ascoltare) e lo fa attraverso un linguaggio nuovo.
Sito web -> www.americanidiot.it